lunedì 23 aprile 2007

IL MESSAGGIO DEL COLORE


Testo e foto di Claudio Cerquetti

Una immagine fotografica porta con se una grandissima quantità di elementi di comunicazione: e ciò non dipende sempre dal soggetto o dalla grafica composizione ma dalle tonalità cromatiche della scena
Fotografare costituisce un modo tutto particolare di ricordare un evento. E l'utilizzo di memorie esterne (tanto per usare il gergo computerese tanto di moda in fotografia) quali CD, Hard disk o, ultima ma sempre prima, la vecchia cara pellicola, costituisce un grande ausilio per rivivere un evento trascorso.
Fra i diversi tipi di memorizzazione utilizzate dagli esseri viventi, la memoria visiva è fra quelle più efficaci, tanto che è molto più facile ricordare il volto di una persona (oppure tutte le foto che abbiamo scattato), quanto che cosa abbiamo mangiato ieri sera a cena.
La sollecitazione del cervello attraverso gli stimoli visivi o il via vai dei ricordi ad opera delle immagini che li risvegliano, agisce su un'infinità di livelli differenti e con una complessità che gli scienziati sono ben lungi dal comprendere appieno.
Un'immagine fotografica porta con sé una gran quantità di informazioni visive, dipendenti sia dal contenuto della composizione fotografica che dalle sensazioni cromatiche che essa trasmette. In questo contesto il bianconero ed il colore agiscono a livelli diversi ed estremamente soggettivi tanto che il pubblico è da sempre diviso fra coloro che asseriscono che la vera fotografia sia quella a colori, e quelli che invece ritengono più vera quella in bianco e nero.

Modi diversi di ricordare. Rispetto alla fotografia in bianco e nero, quella a colori porta con sé una serie più completa di stimoli visivi e di carattere oggettivamente più fedele alla realtà: oltre alla forma di un oggetto, il fotogramma ne mostra anche le diverse sfumature di colore; in più la presenza di ombre velate di tonalità dominanti, contribuisce al carico emozionale complessivo della comunicazione visiva.
Quando si guarda, il cervello compie un intenso lavoro di catalogazione dei diversi stimoli prodotti dall'immagine; in quel momento vengono prodotti una serie di link che, attraverso diverse chiavi, saranno utili in seguito a recuperare la rete di ricordi ad essa collegati. Questo strabiliante lavoro viene svolto in tempo reale e per ogni scena che ci poniamo dinanzi agli occhi: se l'ipnosi regressiva è una tecnica attendibile allora il cervello è veramente in grado di immagazzinare tutto ciò che vede e prova. Il motore di ricerca dei ricordi funziona sempre, parallelamente all'acquisizione di nuovi dati, ed è messo in moto da una melodia, da odore, da un'altra immagine vista in quel momento. Il lavoro che si compie nella nostra testa è veramente inimmaginabile, tanto che i metafisici credono che il cervello, da solo, non sia organicamente in grado di contenere fisicamente tutti i ricordi (sensazioni visive, tattili, olfattive, sentimenti) che verrebbero quindi archiviati nella mente, impalpabile entità posta al di sopra della testa fisica. I più terreni ipotizzano che il cervello adotti un algoritmo di compressione evolutissimo e sempre attivo, o che si accende durante la notte quando le altre funzioni e gli stimoli provenienti dall'esterno sono ridotti al minimo.

In quest'epoca di GPS e telescopi spaziali, il viaggio attraverso i processi mentali (100% analogici!) resta ancora il più incerto ed avventuroso: il vero pianeta inesplorato non è a milioni di chilometri da noi ma vicinissimo; proprio ora sta leggendo queste righe…

La macchina meravigliosa. Mentre scansiona l'immagine, il cervello ne elabora i diversi elementi compiendo un'analisi complessiva del suo significato. Come già accennato, nel caso della fotografia a colori, che si presta egregiamente alla documentazione completa di un evento in forma descrittiva, i componenti della scena sono in numero maggiore rispetto al bianco e nero: oltre alla forma, infatti, i componenti della scena sono caratterizzati da milioni di sfumature cromatiche. Questo processo, per contro, distoglie dal quel messaggio diretto al cuore che sembrerebbe invece meglio scaturire dalla sola analisi della forma, espressa con una fotografia in bianco e nero. In questo caso il messaggio, depurato del colore (che in questo contesto risulta uno stimolo quasi superfluo, e che appanna l'essenza della comunicazione) può arrivare al cuore in modo più fluido: l'osservatore analizza la storia del personaggio raffigurato, la drammaticità di un evento o la profondità di un paesaggio senza che l'occhio venga distratto dal colore di un poster strappato fuxia, o da un rosso pacchetto di sigarette, posto accanto a quello sguardo così espressivo. La controversia fra bianco e nero e colore resta perciò aperta, anche se l'accordo unanime sembra rispecchiarsi nella sintesi: “se il colore è la vita delle immagini, il bianconero ne è l'anima”.

COLLEZIONISMO : PASSIONE O INVESTIMENTO

Giornali e televisione ci bombardano senza tregua con pubblicità mirate per convincerci a consumare di più, ma sembra con scarsi risultati. Le perdite borsistiche in tutto il mondo, valutabili tra il 40 e il 50%, hanno ridotto drasticamente rendite e disponibilità di liquido, con ricadute dirette sui generi voluttuari.
Le macchine fotografiche, specie se da collezione, sono sicuramente da considerarsi generi estremamente voluttuari, anche se il pretesto dell’oggetto da investimento è una buona scusa da presentare alla nostra coscienza o alla moglie, a scelta.
In momenti di scarsa disponibilità finanziaria si allarga la forbice economica: chi poteva spendere senza problemi anche prima della crisi e dispone d’ampie risorse finanziarie, ora si trova avvantaggiato dalla necessità di negozianti e commercianti di far circolare il ‘liquido’. Viceversa chi è stato ‘bruciato’ dalle negative esperienze di Borsa si trova a fare i conti con prezzi sempre troppo alti, e pertanto ripiega su pezzi estremamente economici, oppure dilaziona l’acquisto. Inevitabile la permuta, al fine di migliorare la trattativa economica scambiando pezzi di minor pregio e quindi in definitiva facendo circolare sempre meno contante.

Ormai il mercato sembra tagliato in due: obiettivi con lenti segnate, compatte, reflex ‘fuori moda’ (chissà poi chi detta la moda in questo settore…), macchine in cattive condizioni si vendono a prezzi molto bassi, pur di vendere. Pezzi d’alta collezione, da migliaia d’euro, interessano solo una ridotta élite. In mezzo, il vuoto: sembra che il pezzo da 1000/2000 euro non interessi più, che nessuno abbia voglia di rischiare un piccolo investimento o che abbia l’intenzione d’iniziare una nuova collezione.
Sembra anche mancare un ricambio generazionale: i collezionisti ‘over cinquanta’, quelli che hanno impostato la loro collezione più di vent’anni fa, ora cercano solo pezzi molto rari e pertanto fanno acquisti estremamente oculati. Le giovani generazioni potenzialmente collezionistiche sono frenate: mancanza di disponibilità economiche, tentazioni da digitale, spese per la futura casa, autofocus sempre più veloci, idee confuse su cosa convenga acquistare nell’attesa di una futura rivalutazione. Da non sottovalutare il cambio degli status symbol: telefonini e mega orologi sembrano attirare più di Contax e Nikon F.

In realtà nella generazione più giovane manca il sogno che alimenta la voglia di possesso: chi tra i cinquantenni e oltre, appassionati di fotografia, non ha sognato di possedere una Contarex, una Nikon F2 accessoriata, una Leica M3 due colpi, una Exakta Varex con ottiche Angenieux o una stupenda Rollei con Planar? Quanti anni abbiamo aspettato per realizzare i sogni dello studente squattrinato, quante volte siamo passati davanti al negozio preferito rimanendo impietriti davanti all’oggetto del desiderio più che davanti ad una bella ragazza?
I giovani d’oggi cosa devono sognare: Canon T70, Nikon F301, Olympus OM-10? Ottimi apparecchi ma che, anche se recenti, appaiono essere ancora più obsoleti delle fotocamere degli anni Cinquanta.

La verità è molto semplice: un apparecchio meccanico diventa un’ classico’, un apparecchio elettronico dopo poco tempo diventa ‘vecchio’! Fra dieci, vent’anni qualcuno collezionerà le prime macchine digitali? Il cambio generazionale non è stato indolore, e i sogni di una generazione non si sono trasferiti a quella successiva.
Così i pezzi di fascia media, che una volta alimentavano il collezionismo alle prime armi, oggi stentano a trovare una collocazione, mentre il continuo proliferare di mercatini regionali abbassa la curiosità degli acquirenti che finiscono per trovare inevitabilmente sempre le stesse cose. I pezzi d’alta collezione si vendono ormai attraverso altri canali: Internet, trattativa privata, negozi specializzati che sanno a chi proporre i pezzi più ambiti.

Il collezionismo fotografico, senza una forte motivazione passionale ed emotiva, non sembra a tutt’oggi quel buon investimento economico che prometteva essere nei primi anni Novanta.
In America, le Leica hanno perso molto delle loro alte valutazioni, e si trovano a prezzi tra il 20-30% in meno rispetto a pochi anni fa.
La Rollei risulta attualmente molto ridimensionata, come pure diversi modelli Exakta, una volta considerata la ‘nave scuola’ del fotografo ed ora un poco dimenticata.
Le Nikon classiche e meccaniche attirano ancora molto, specie se in ottimo stato ed inscatolate, mentre per gli esemplari mediocri le quotazioni ristagnano. Importante rimane il fatto che le Nikon a telemetro sono sempre relativamente rare, con conseguente rivalutazione delle quotazioni. Molto rare sono diventate le Contax e le Contarex in ottimo stato e rarissimi gli obiettivi, abbastanza diffusi sino a pochi anni fa ed adesso diventati introvabili. Per Contax si vedono solo Biogon 35mm, Sonnar 135mm, i 50mm montati sulle macchine e poco altro. E pensare che il sistema Contax è stato uno dei più vasti sistemi fotografici mai prodotti!
Le copie Leica, ambite per anni più degli originali di Oskar Barnack, hanno perso terreno, e il boom di cinque anni fa sembra essersi sgonfiato, a favore delle macchine italiane che, Rectaflex in testa, cavalcano attualmente la cresta dell’onda delle richieste, almeno in Italia.

Tuttavia è proprio in momenti come questi che appaiono le occasioni migliori: offerta variegata, disponibilità alla contrattazione, pezzi rari a prezzi più accessibili.
E’ il momento di approfittare della situazione operando esattamente come recita la famosa regola di Borsa, “Compra a prezzi bassi, vendi a prezzi alti”.
Liberandoci dall’ossessione dell’investimento, del ritorno monetario che gratifica l’io mercantile, si approda finalmente al nucleo centrale del collezionismo: il divertimento. Divertimento nella ricerca, divertimento dello scambio, divertimento della contrattazione, per approdare finalmente, liberi da sensi di colpa, alla soddisfazione del possesso dell’oggetto ambito, desiderato, inseguito.
Sfogliare qualche buon libro di fotografia può essere una buona base di partenza per accendere nuove idee e passioni: esistono decine d’apparecchi economici che possono farci sognare, sia che si voglia fotografare oppure solo collezionare.
Citiamo, a caso e alla rinfusa: Edixa, Ferrania, Kodak Retina, Voigtlaender Vito, Agfa Karat, Zeiss Contina, Nikkormat, Weltini. Famiglie d’apparecchi singolarmente molto accessibili, ma che, una volta inserite in uno spazio temporale e tecnico organico, acquistano dignità di collezione d’alto livello.
Spesso è più l’organizzazione della collezione a rappresentare il punto di forza della stessa che non il valore del singolo pezzo. L’unione di diversi apparecchi ed obiettivi, anche se economici, alla fine costruirà una collezione che ci darà sicuramente molta soddisfazione: è la ricerca il fine collezionistico, non l’importanza dell’oggetto in sé. E in tutte le marche esistono oggetti rari. Il collezionismo è prima di tutto ‘gioco’, poi seguiranno le considerazioni economiche e speculative.
Non ho mai dimenticato cosa lessi all’ingresso di un piccolo negozio di giocattoli di legno a Kathmandu, tanto, tanto tempo fa: "Non si smette di giocare quando si diventa vecchi, ma si diventa vecchi quando si smette di giocare!"

IO FOTOGRAFO DEL NATIONAL GEOGRAPHIC


Intervista di Bruno D'Amicis, fotografie di Joel Sartore

Dal momento che viaggi con così tante pellicole, come ti comporti ai controlli a raggi-X degli aeroporti?

Trasporto tutti i rullini fuori dei loro contenitori in buste di plastica trasparenti con chiusura ermetica. In questo modo, riesco di solito a far ispezionare a mano tutto il materiale invece di farlo passare ai raggi-X. In nessuna occasione lascio che delle pellicole non sviluppate vengano esposte ai raggi-X destinati alle valige consegnate al check-in perché sono molto più potenti e possono rovinare il materiale sensibile.

Quando sei in viaggio, spedisci le pellicole esposte alla redazione del National Geographic o li tieni con te?

Di solito cerco di spedire le pellicole in America non appena ho scattato 40-50 rullini. Mi rende nervoso avere con me molto materiale esposto quando sono sul campo: il rischio che possa venire perso, danneggiato o rubato è troppo elevato.

In questo caso, dopo che le pellicole hanno raggiunto la redazione, ricevi qualche tipo di feedback? Consigli, richieste di nuovi scatti...

Talvolta. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, nel tempo che occorre al materiale per arrivare a destinazione, venire sviluppato ed esaminato dal photo editor, io mi trovo già in un altro posto a scattare nuove immagini. Comunque, i risultati vengono esaminati e discussi più che sufficientemente quando mi trovo in redazione per la selezione finale.

Come descriveresti il tuo stile: cosa vuoi comunicare alle persone attraverso le tue immagini?

Con le mie immagini di natura, ciò che spero di trasmettere è l'assoluta necessità di salvare i luoghi selvaggi e le specie minacciate. Noi, come umani, abbiamo una possibilità di scelta ed io nutro la speranza che, avendo davanti agli occhi la natura in pericolo, la gente decida di salvarla.

Cosa rende "buona" una fotografia?

E' molto semplice: una bella luce, uno sfondo pulito ed un soggetto interessante. Il sistema che utilizzo per testare i miei criteri di interesse è quello che chiamo "Ehi, cara!". In pratica, quando viaggio insieme a mia moglie in macchina e lei mi siede accanto sfogliando una rivista, richiamo la sua attenzione per mostrarle qualcosa lungo la strada. Ciò mi aiuta a capire se è abbastanza interessante per giustificare l'interruzione o se la sto solo seccando!

Quale delle tue fotografie ha per te un significato veramente particolare?

L'immagine dei due pappagalli Ara macao in volo, scattata nel Parco di Madidi in Bolivia, ha un grande significato per me. In parte, a causa delle terribili condizioni fisiche in cui mi trovavo durante il servizio e di ciò che ho dovuto passare per ottenere la fotografia; ma, soprattutto per l'effetto che da quell'immagine ha determinato. Il governo boliviano era pronto a costruire una diga che avrebbe inondato l'intero Parco nazionale.

Quando venne pubblicato il servizio, questi due pappagalli apparvero sulla copertina del National Geographic, costituendo una grande pubblicità per Madidi. In seguito, mi è stato detto che, subito dopo l'uscita della rivista, sono state fatte molte pressioni sul governo per fermare il progetto. Così è stato, ed il parco è stato salvato. Attualmente, la costruzione di una strada rappresenta una nuova minaccia per Madidi, ma, per lo meno, oggi non c'è una diga al posto della foresta.

Cosa pensi della tecnologia digitale? Influenza in qualche modo il tuo metodo di lavoro?

Non ho ancora scattato nessuna fotografia digitale per il National Geographic, ma l'ho fatto per altri brevi incarichi. Per me, il digitale è molto più semplice per il fatto che posso vedere cosa ho fotografato subito dopo lo scatto, perciò so quando ho ottenuto ciò che volevo. Quando lavoro con la pellicola, non ho idea di cosa ho ottenuto, quindi continuo a fotografare fino a quando è possibile. Molte delle mie migliori fotografie sono state scattate in momenti, in cui, se avessi saputo di aver già ottenuto quello che volevo, avrei messo via l'attrezzatura e preso la strada di casa. Per questo motivo, quindi, mi chiedo se, alla lunga, il digitale potrebbe ridurre la qualità del mio lavoro. Ma solo il futuro potrà dirlo.

E' davanti agli occhi di tutti quale direzione stia prendendo la fotografia professionale. Solo poche agenzie fotografiche sopravvivono, più grandi giorno dopo giorno. Queste monopolizzano il web e prevalgono su quelle più piccole. Poi, il mercato sembra saturo. C'è meno interesse per le tematiche ambientali e ci sono molte meno riviste di natura in commercio rispetto agli anni Ottanta. Quale potrà essere, secondo te, il futuro della fotografia naturalistica?

Ci sarà sempre spazio per la fotografia naturalistica, che è ora più importante che mai. Esiste sempre la speranza che belle immagini di luoghi veramente selvaggi possano incoraggiare la gente a preservarli. Non conosco la situazione in Europa, ma negli Stati Uniti c'è ancora un mercato fiorente per le riviste di natura. Molte organizzazioni legate alla conservazione degli animali pubblicano riviste proprie, tra cui alcune delle migliori dell'intera editoria americana.

E le "classiche" immagini di natura? Mi chiedo se tra dieci anni ci sarà ancora interesse per le fotografie di leoni del Serengeti o dei pinguini in Antartide?

Ci sarà sempre interesse per quelle immagini, perché rappresentano ciò che il pubblico medio si aspetta di vedere quando si trova davanti a delle fotografie "di natura". La sfida, per noi fotografi, è di creare qualcosa di fresco ed innovativo, che possa interessare tutti, a partire dall'appassionato di fotografia fino al pubblico più generico.

Adesso una notizia di servizio che interesserà molti perché tu stai organizzando un workshop in Italia per l'anno prossimo. Che ruolo ha questo business nella tua attività?

Adoro tenere workshop, perché spesso sono molto più piacevoli del lavoro sul campo in un luogo remoto ed inospitale; poi, perché di solito mi permettono di passare un po' più di tempo con la mia famiglia. Ma è anche bello incontrarsi, collaborare con altri fotografi e vedere cosa succede in altre parti del mondo. Terrò un workshop in Toscana nella seconda metà di maggio. Il mio scopo primario è quello di insegnare come sviluppare la propria visione creativa ed utilizzare la migliore luce possibile. Perciò, ci concentreremo prinicipalmente sulla fotografia di paesaggio e dei dettagli.

Cosa ti aspetti da questa esperienza?

Vedi, i miei genitori sono italiani, perciò spero di conoscere qualcosa di più sulle mie origini. Da quanto ho potuto vedere sinora, la Toscana mi ricorda la mia casa qui nella prateria americana. Per queste due ragioni, so già che mi sentirò a casa.

Ultima domanda molto classica: quali consigli daresti ad un principiante che volesse seguire i tuoi passi?

Il mio suggerimento è questo: lavorate duro, preferibilmente per qualcuno o per un'organizzazione che possa aiutarvi nella professione. Un giornale, un sito web o qualsiasi cosa. Scattate una tonnellata di immagini con la vostra macchina fotografica. Ogni nuova situazione ha il potenziale di migliorare la vostra fotografia. Ascoltate il vostro direttore e rispettate i suoi consigli su come rendere migliore il vostro lavoro. Imparate ad accettare le critiche ed utilizzatele per affinare la vostra tecnica. La professione del fotografo è difficile e i direttori spesso non hanno tempo di usare i guanti di velluto quando si tratta di dare suggerimenti. Con lo stesso spirito, esaminate criticamente le foto di altri fotografi. Quando ammirate il lavoro di un collega, passate del tempo osservando le sue immagini per capire cosa le rende speciali.

E poi?

In generale, è importante essere curiosi di natura, rilassati e sicuri di occuparsi di fotografia per i motivi giusti. Se lo fate solo per soldi e premi, avrete delle cocenti delusioni, specialmente agli inizi. Alcune persone scattano grandi immagini per anni e vengono scoperte soltanto dopo la loro morte. Se, invece, il vostro scopo è di rendere migliore il mondo, fotografando e documentando soggetti importanti, rendendo la gente felice con le vostre immagini e mostrando agli altri la realtà con un diverso punto di vista, avete ottime possibilità di godere di una lunga e luminosa carriera.

Parlavi anche di determinazione...

Come ho ti ho detto, il segreto vero è la determinazione. Molti degli scatti migliori arrivano alla fine della giornata, quando ci si sente distrutti e si sta per mettere via l'attrezzatura. Se smettete troppo presto, perderete molte delle migliori opportunità. Ma se volete veramente diventare dei bravi fotografi, continuate a scattare anche quando sapete di avere già ottenuto quello che volevate.

giovedì 19 aprile 2007

IL DIGITALE O ANALOGICO

l'eterno dilemma dei nostri tempi Digitale o Analogico,
molti oldstyle dichgiarano che il digitale è roba da apprendisti altri parlano del digitale come la nuova era della fotografia.
Chi ha ragione chi ha torto forse nessuno forse tutti o forse la lunga linea degli indecisi quelli che dicono che ogni stile ha bisogno del suo sistema di stampa.
Beh chi sono io per giudicare?
So solo che in una società come la nostra dove un euro in più o in meno può fare la differenza il Digitale ha dato il potere ai molti di realizare quello che solo per pochi era permesso fare:
la fotografia giusta al momento giusto.
certo molti posso smontare questa teoria come un castello di carte ma il dubbio rimane.
Molte volte nel continuo girovagare per laboratori e negozi di fotografie vedo sempre più gente concedersi alla fotografia in una ricerca pasmodica per la foto bella ed il risultato immediato.
certo la moltitudine avvolte sembre offuscare la perfezzione di certi perfezionisti ma c'e' sempre un ma anche il principiante più insulso vedrà nel suo lavoro un mutamento e alla fine con un dispendio minimo avra finalmente trovato la suo strada il fine ultimo.
macchiavelli diceva Il fine giustifica i mezzi niente di più azzecato (per quello che mi riguarda).Ai Post L'ardua sentenza

mercoledì 18 aprile 2007

Man Ray Mon amoure

Emmanuel Radnitsky, questo il vero nome di Man Ray, nasce a Filadelfia (Pennsylvania) il 27 agosto 1890, da genitori ebrei russi con i quali parte, all�et� di sette anni, per New York. Nella metropoli americana prendono residenza nel quartiere di Brooklyn. Al liceo, Emmanuel frequenta le lezioni di pittura e successivamente, appena diciannovenne, studia alla Scuola delle Belle Arti di New York, seguendo contemporaneamente corsi di disegno e di acquarello presso il Ferrer Center.
A Ridgefield, nel New Jersey, dove vivr� per quattro anni, lavora come disegnatore pubblicitario. Tenta dunque, insieme al poeta Alfred Kreymborg, di fondare una comunit� artistica. Incontra Alfred Stieglitz ed entra in contatto con l'avanguardia americana. La scoperta dei movimenti artistici europei avverr� nel 1913, dopo aver visto le opere di Marcel Duchamp e Francis Picabia all'Armory Show. Realizza quindi il suo primo quadro cubista: un ritratto di Alfred Stieglitz. Si sposa con la poetessa Adon Lacroix con la quale pubblica il libro A Book of Diverse Writings. La guerra in corso in Europa blocca il suo progetto di recarsi a Parigi.

A venticinque anni, Man Ray acquista una macchina fotografica per riprodurre i suoi quadri e fonda la prima rivista americana dadaista The Ridgefield Gazook: quattro pagine con sue illustrazioni e testi di sua moglie, Adon. E' l'anno del suo incontro con Duchamp e della sua prima esposizione alla Daniel Gallery di New York. Nel 1919 si separa dalla moglie, pubblica l'unico numero di TNT, rivista di tendenza anarchica, e inizia una collaborazione fotografica e cinematografica con Marcel Duchamp. I due, insieme a Katherine Dreier, Henry Hudson e Andrei McLaren fondano la Soci�t� Anonyme, un museo d'arte d'avanguardia.

Nel 1921, durante la quindicesima mostra annuale di fotografia, vince un premio per un ritratto di Berenice Abbott, allora scultrice e in seguito fotografa e sua assistente per tre anni. Il sodalizio con Marcel Duchamp � ormai consolidato e Man Ray lo raggiunge finalmente a Parigi dove incontra i dadaisti e fa la conoscenza di Jean Cocteau, Erik Satie e Kiki de Montparnasse.

Sono anni ricchi di attivit� artistiche: pubblicazione di libri, partecipazioni a decine di mostre personali e collettive, la realizzazione delle rayografie, di immagini di nudo, ritratti e fotografie di moda. Nel 1923 gira Retour � la raison, il primo di alcuni film (An�mic cin�ma, Emak Bakia, L'Etoile de mer, Les Myst�res du Chateau de d�). Nel 1929, Lee Miller diventa la sua assistente (e lo sar� fino al 1932).

L'invasione nazista del 1940 costringe Man Ray a lasciare la capitale francese alla volta di New York per stabilirsi successivamente a Hollywood, dove incontra Juliet Browner, sua futura moglie, e dove rimarr� per 11 anni prima di ritornare a Parigi.

Alla Biennale di Venezia del 1961 riceve la medaglia d'oro per la fotografia mentre nel 1971 gli saranno dedicate due retrospettive, a Rotterdam e a Milano (alla Galleria Schwarz), comprendenti 225 lavori realizzati tra il 1912 e il 1971.

Man Ray muore a Parigi, nel 1976, all�et� di 86 anni.

Ansel Adams un fotografo tra le foreste americane

Ansel Easton Adams (San Francisco, 20 febbraio 190222 aprile 1984) è stato un fotografo statunitense.

Famoso per le sue foto in bianco e nero di paesaggi dei parchi nazionali americani (tra cui lo Yosemite National Park) e come autore di numerosi libri di fotografia, compresa la sua trilogia di manuali di tecnica (The Camera, The Negative e The Print). È stato tra i fondatori dell'associazione Gruppo f/64 insieme ad altri maestri come Edward Weston, Willard Van Dyke e Imogen Cunningham.

Famosa opera di Adams
Famosa opera di Adams

Adams ha inventato il sistema zonale, una tecnica che permette ai fotografi di trasporre la luce che essi vedono in specifiche densità sul negativo e sulla carta ottenendo così un controllo migliore sulle fotografie finite. Adams è anche stato un pioniere dell'idea di visualizzazione (che spesso chiamava 'previsualizzazione', sebbene più tardi ammise che questo termine fosse ridondante) della stampa finita basata sui valori di luce misurati nella scena che viene fotografata.

Adams non amava l'uniformità del sistema educativo e lasciò la scuola nel 1915 per imparare da autodidatta. Dapprima si esercitò come pianista ma a quattordici anni gli fu data una macchina fotografica in dono mentre visitava il parco nazionale di Yosemite. Lì incontrò Virginia Best, la sua futura moglie.

A 17 anni Adams si iscrisse al Sierra Club, un gruppo dedito a preservare le meraviglie e le risorse del mondo naturale. Ne rimase membro per tutta la vita e ne fu anche direttore come pure sua moglie Virginia. Adams era un appassionato alpinista da giovane e partecipò agli "high trips" annuali del club. E autore di molte prime scalate sulla Sierra Nevada. Adams divenne un ambientalista e le sue fotografie sono una testimonianza di come fossero molti di questi parchi nazionali prima degli interventi umani e dei viaggi. Il suo lavoro ha sponsorizzato molti degli scopi del Sierra Club ed ha portato le tematiche ambientali alla luce.

 Fotografia di Ansel Adams - Lavoratori di fronte al Monte Williamson
Fotografia di Ansel Adams - Lavoratori di fronte al Monte Williamson

Le fotografie nel libro a tiratura limitata Sierra Nevada: The John Muir Trail, insieme alla sua testimonianza, hanno contribuito ad assicurare la designazione del Sequoia and Kings Canyon come parco nazionale nel 1940.

Adams fu addolorato dall'internamento dei nippo-americani che seguì l'attacco di Pearl Harbor. Gli venne permesso di visitare il Manzanar War Relocation Center nella Owens Valley, ai piedi del monte Williamson. Il saggio fotografico dapprima apparve in una mostra in un museo d'arte moderna, e più tardi fu pubblicato col titolo Born Free and Equal: Photographs of the loyal Japanese-Americans at Manzanar Relocation Center, Inyo County, California (Nati liberi e uguali: fotografie dei leali nippo-americani al centro di dislocamento Manzanar, Contea di Inyo, California).

Adams fu il beneficiario di tre borse di studio della fondazione Guggenheim durante la sua carriera. Fu eletto nel 1966 membro dell'American Academy of Arts and Sciences. Nel 1980 il presidente Jimmy Carter lo insignì della medaglia presidenziale della libertà, la più alta onorificenza civile del suo paese.

I diritti di pubblicazione per le fotografie di Adams sono tenuti dagli amministratori dell'Ansel Adams Publishing Rights Trust.

Il Minarets Wilderness nell'Inyo National Forest venne ribattezzato Ansel Adams Wilderness nel 1984 in suo onore. Il monte Ansel Adams, una cima di 3.584 metri nella Sierra Nevada, prese il nome da lui nel 1985.

HCB IL MITO

L'avvincente storia dello sguardo più celebre del XX secolo. Per chi crede di sapere tutto sul "mito HCB" (e dovrà ricredersi), o ne vorrebbe sapere di più (e troverà pane per i suoi denti, della migliore qualità)


Titolo: "Henri Cartier-Bresson. Biografia di uno sguardo"
Autore: Pierre Assouline
Editore: Photology, 2006
Formato: 264 pagine - 24x16cm - copertina rigida
Prezzo: 29 euro
Ci vuole fortuna, per diventare dei genî. Talento, certo, ma anche tanta, tanta fortuna. La fortuna di ritrovarsi tra le mani una vita da poter dedicare completamente, fin dalla prima giovinezza, alle proprie passioni; la fortuna di crescere a pane e poesia; la fortuna di avere le spalle coperte da una famiglia dell'alta borghesia, che garantisca una rendita da consumare seduti ad un caffè parigino a ragionare d'arte e di sogni con le menti più illuminate di Francia, o vagabondando per il mondo con il naso per aria e una macchina fotografica incollata allo sguardo; la fortuna, in due parole, di nascere Henri Cartier-Bresson.
Un uomo divenuto famoso per il suo saper 'cogliere di sorpresa la vita' da dietro un mirino, quando, di solito, accade l'esatto contrario. Quanti altri Cartier-Bresson ci saranno stati e ci saranno, altrettanto dotati, destinati però a rimanere degli emeriti sconosciuti a causa di una vita che ogni giorno chiede il conto di quel poco che dà, essendo lei a cogliere di sorpresa, a stordire con un ipotetico colpo di flash le comuni esistenze degli infiniti 'signori Nessuno' con ogni sorta di intralcio?
Henri Cartier-Bresson fu un uomo a cui la vita fece un dono dei più rari: avere tempo, denaro e spensieratezza sufficienti per provare a diventare un mito. A lui va il merito, innegabile, di esserci riuscito alla grande.
Una semplice riflessione (un po' amara, dite?...sarà l'invidia!), tra le tante che possono scaturire dalla lettura di questo bel libro, che è sì la biografia d'un uomo, ma anche il coinvolgente affresco di un intero secolo.
Pierre Assouline (scrittore e giornalista) incrociò per la prima volta lo 'sguardo del secolo' nel 1994, in occasione di un'intervista di routine: quelle prime cinque ore di chiacchiere si trasformarono poi in cinque anni di dialoghi serrati, sfociando in un'amicizia benedetta dal privilegio, per Assouline, di avere libero accesso non solo ai ricordi di un'esistenza straordinaria raccontati dalla viva voce del diretto interessato, ma anche al suo sterminato archivio: un immenso corpus di lettere, annotazioni, fotografie e documenti di ogni tipo che contribuì in maniera determinante all'esaustività del suo lavoro di 'amico-biografo'.
Il risultato è un testo scorrevole ed estremamente avvincente, zeppo com'è di personaggi, luoghi, incontri ed eventi sempre un gradino oltre l'ordinario, che mantengono ben desta l'attenzione e la curiosità. Quasi un romanzo d'avventura, che ha per quinte i grandi eventi del XX secolo (la guerra di Spagna, la Seconda guerra mondiale, la decolonizzazione...), e, sulla ribalta, le peripezie di questo 'francese errante', incapace di restare in un angolo di mondo per più di qualche anno. 'Libellula inquieta', lo definì un giovanissimo Truman Capote, osservandolo aggirarsi per le strade di New Orleans, nel '47, con tre Leica appese al collo e lo sguardo sempre all'erta, sempre in caccia, in preda ad una sorta di frenesia visiva che si placava solo - ma per un attimo appena - al momento dello scatto.
Lo incontriamo in Francia, brillante portavoce di quell'oziosa e seducente atmosfera propria della 'civiltà dei caffè', fianco a fianco con i maggiori intellettuali, artisti, poeti e scrittori dell'epoca (primi in testa i surrealisti, che eserciteranno su di lui un'influenza determinante, contribuendo ad insegnargli l'arte di cogliere il meraviglioso nell'apparente ordinarietà del reale), per poi seguirlo in Africa, nei quartieri più malfamati di Città del Messico, in Spagna, Italia, America... fino ad arrivare in Cina, o in India, o ovunque lo trascini la sua irrequieta e tirannica sete di immagini. Ne seguiamo lo sviluppo artistico, dall'irriducibile passione per il disegno e la pittura all'approdo risolutivo al fotogiornalismo, con la fondazione dell'Agenzia Magnum; ne scopriamo le abitudini stilistiche, dall'ossessione per l'impeccabile geometria compositiva e la conseguente avversione per il taglio - fosse anche solo di un millimetro - delle inquadrature originali, all'abitudine di passare ore in perfetto silenzio nello studio dell'artista di turno, braccandone l'anima per eternarla in quel proverbiale 'istante decisivo' in cui smette la posa consueta; dall'idiosincrasia nei confronti del flash - considerato un'oscenità - e della posa, alla fedeltà assoluta ad una frase di Delacroix che recita "La vera, grande arte consiste nel colorare con i grigi"; senza dimenticare le esperienze cinematografiche, prima a fianco di Jean Renoir, poi come regista di documentari a sostegno di cause civili.
Approfondire la conoscenza di Cartier-Bresson significa inoltre imbattersi nell'aura magnetica dei suoi Maestri. Piero della Francesca, Paolo Uccello (pittori della 'divina proporzione' - la sezione aurea -, che getteranno in lui il seme di una sorta di 'mistica della misura'), Cézanne... perché non è un paradosso gratuito quello secondo cui Cartier-Bresson imparò a fotografare nelle sale del Louvre, allenando lo sguardo davanti ad alcuni dei più significativi capolavori della storia dell'arte: "Mentre si scatta una foto si realizza un quadro", dirà, non a caso; e poi Baudelaire, Rimbaud, che fin da giovanissimo gli instillarono l'insofferenza per ogni tipo di imposizione, rivelandogli il potere inebriante della libertà... Per non parlare dei fotografi, compagni di strada, modelli o 'avversari': Robert Capa, Walker Evans, Robert Doisneau, Manuel Alvarez Bravo, Paul Strand... nomi altrettanto leggendari che contribuiscono, se ancora ce ne fosse bisogno, a movimentare ed arricchire questa già frenetica e traboccante biografia.
La narrazione ha un ritmo inevitabilmente serrato, motivato dalla necessità di render conto di questo numero sterminato di eventi che si susseguono, nella vita del Nostro, senza un attimo di tregua; ma non manca di rallentare, talvolta, per donare al lettore numerose riflessioni e aneddoti tutt'altro che marginali: preziose strade d'accesso alternative al 'mito Cartier-Bresson'. Il simbolico seppellimento della sua Leica, per esempio, nell'aia di una casa colonica nei Vosgi, all'indomani della disfatta della Francia, nel 1940 (e l'altrettanto mitica 'riesumazione', tre anni dopo, appena evaso dal campo di prigionia tedesco e ancora invischiato nell'illegalità); o il breve racconto di quel pomeriggio in cui il pittore cubista George Braque gli regalò un libro che cambierà non solo il suo essere fotografo, ma anche il suo essere uomo: Lo Zen e il tiro con l'arco, di Eugen Herrigel. Un libro consumato dalle infinite riletture, che stravolgerà la sua visione del mondo, divenendo il suo manuale ideale di fotografia (nonostante che di fotografia non vi si parli affatto) grazie all'insondabile potenziale di frasi del tipo: "La vera arte non ha un obiettivo, è priva di intenzione. Si liberi di se stesso, lasci da parte tutto ciò che è, tutto ciò che possiede, così che non le resti più niente, se non la tensione senza uno scopo"; pagine che gli sveleranno come la fotografia possa essere intesa come una disciplina mentale, prima ancora che tecnica; parole che chiamerà in causa quando dovrà enunciare una volta per tutte la sua concezione della fotografia, e che gli varranno l'originale appellativo di 'arciere zen': un uomo che è tutt'uno con il suo strumento, che vive il momento presente completamente assorbito dall'azione, che dimentica se stesso per farsi dimenticare dagli altri, così da diventare puro sguardo, fino a scomparire quasi, per meglio cogliere di sorpresa l'essenza di ciò che gli si para davanti (sia essa un volto, un luogo o un evento). E innumerevoli sono anche i retroscena degli scatti più celebri, che consentono di tornare a guardare con occhi nuovi tante di quelle immagini che, divenute icone, quasi non siamo più in grado di 'vedere' davvero. Insomma: 96 anni di vita racchiusi in 250 pagine dense di arte, mondo, fotografia e sguardi inimitabili. Un libro consigliatissimo. Da leggere con la leggerezza di un romanzo o, volendo, con più attenzione - quasi si trattasse di un manuale dedicato all' "arte del vedere" - per tentare di carpire almeno uno dei segreti celati dietro una delle sensibilità più acute, indipendenti ed originali del secolo passato.

Serena Effe © 02/2007