mercoledì 18 aprile 2007

HCB IL MITO

L'avvincente storia dello sguardo più celebre del XX secolo. Per chi crede di sapere tutto sul "mito HCB" (e dovrà ricredersi), o ne vorrebbe sapere di più (e troverà pane per i suoi denti, della migliore qualità)


Titolo: "Henri Cartier-Bresson. Biografia di uno sguardo"
Autore: Pierre Assouline
Editore: Photology, 2006
Formato: 264 pagine - 24x16cm - copertina rigida
Prezzo: 29 euro
Ci vuole fortuna, per diventare dei genî. Talento, certo, ma anche tanta, tanta fortuna. La fortuna di ritrovarsi tra le mani una vita da poter dedicare completamente, fin dalla prima giovinezza, alle proprie passioni; la fortuna di crescere a pane e poesia; la fortuna di avere le spalle coperte da una famiglia dell'alta borghesia, che garantisca una rendita da consumare seduti ad un caffè parigino a ragionare d'arte e di sogni con le menti più illuminate di Francia, o vagabondando per il mondo con il naso per aria e una macchina fotografica incollata allo sguardo; la fortuna, in due parole, di nascere Henri Cartier-Bresson.
Un uomo divenuto famoso per il suo saper 'cogliere di sorpresa la vita' da dietro un mirino, quando, di solito, accade l'esatto contrario. Quanti altri Cartier-Bresson ci saranno stati e ci saranno, altrettanto dotati, destinati però a rimanere degli emeriti sconosciuti a causa di una vita che ogni giorno chiede il conto di quel poco che dà, essendo lei a cogliere di sorpresa, a stordire con un ipotetico colpo di flash le comuni esistenze degli infiniti 'signori Nessuno' con ogni sorta di intralcio?
Henri Cartier-Bresson fu un uomo a cui la vita fece un dono dei più rari: avere tempo, denaro e spensieratezza sufficienti per provare a diventare un mito. A lui va il merito, innegabile, di esserci riuscito alla grande.
Una semplice riflessione (un po' amara, dite?...sarà l'invidia!), tra le tante che possono scaturire dalla lettura di questo bel libro, che è sì la biografia d'un uomo, ma anche il coinvolgente affresco di un intero secolo.
Pierre Assouline (scrittore e giornalista) incrociò per la prima volta lo 'sguardo del secolo' nel 1994, in occasione di un'intervista di routine: quelle prime cinque ore di chiacchiere si trasformarono poi in cinque anni di dialoghi serrati, sfociando in un'amicizia benedetta dal privilegio, per Assouline, di avere libero accesso non solo ai ricordi di un'esistenza straordinaria raccontati dalla viva voce del diretto interessato, ma anche al suo sterminato archivio: un immenso corpus di lettere, annotazioni, fotografie e documenti di ogni tipo che contribuì in maniera determinante all'esaustività del suo lavoro di 'amico-biografo'.
Il risultato è un testo scorrevole ed estremamente avvincente, zeppo com'è di personaggi, luoghi, incontri ed eventi sempre un gradino oltre l'ordinario, che mantengono ben desta l'attenzione e la curiosità. Quasi un romanzo d'avventura, che ha per quinte i grandi eventi del XX secolo (la guerra di Spagna, la Seconda guerra mondiale, la decolonizzazione...), e, sulla ribalta, le peripezie di questo 'francese errante', incapace di restare in un angolo di mondo per più di qualche anno. 'Libellula inquieta', lo definì un giovanissimo Truman Capote, osservandolo aggirarsi per le strade di New Orleans, nel '47, con tre Leica appese al collo e lo sguardo sempre all'erta, sempre in caccia, in preda ad una sorta di frenesia visiva che si placava solo - ma per un attimo appena - al momento dello scatto.
Lo incontriamo in Francia, brillante portavoce di quell'oziosa e seducente atmosfera propria della 'civiltà dei caffè', fianco a fianco con i maggiori intellettuali, artisti, poeti e scrittori dell'epoca (primi in testa i surrealisti, che eserciteranno su di lui un'influenza determinante, contribuendo ad insegnargli l'arte di cogliere il meraviglioso nell'apparente ordinarietà del reale), per poi seguirlo in Africa, nei quartieri più malfamati di Città del Messico, in Spagna, Italia, America... fino ad arrivare in Cina, o in India, o ovunque lo trascini la sua irrequieta e tirannica sete di immagini. Ne seguiamo lo sviluppo artistico, dall'irriducibile passione per il disegno e la pittura all'approdo risolutivo al fotogiornalismo, con la fondazione dell'Agenzia Magnum; ne scopriamo le abitudini stilistiche, dall'ossessione per l'impeccabile geometria compositiva e la conseguente avversione per il taglio - fosse anche solo di un millimetro - delle inquadrature originali, all'abitudine di passare ore in perfetto silenzio nello studio dell'artista di turno, braccandone l'anima per eternarla in quel proverbiale 'istante decisivo' in cui smette la posa consueta; dall'idiosincrasia nei confronti del flash - considerato un'oscenità - e della posa, alla fedeltà assoluta ad una frase di Delacroix che recita "La vera, grande arte consiste nel colorare con i grigi"; senza dimenticare le esperienze cinematografiche, prima a fianco di Jean Renoir, poi come regista di documentari a sostegno di cause civili.
Approfondire la conoscenza di Cartier-Bresson significa inoltre imbattersi nell'aura magnetica dei suoi Maestri. Piero della Francesca, Paolo Uccello (pittori della 'divina proporzione' - la sezione aurea -, che getteranno in lui il seme di una sorta di 'mistica della misura'), Cézanne... perché non è un paradosso gratuito quello secondo cui Cartier-Bresson imparò a fotografare nelle sale del Louvre, allenando lo sguardo davanti ad alcuni dei più significativi capolavori della storia dell'arte: "Mentre si scatta una foto si realizza un quadro", dirà, non a caso; e poi Baudelaire, Rimbaud, che fin da giovanissimo gli instillarono l'insofferenza per ogni tipo di imposizione, rivelandogli il potere inebriante della libertà... Per non parlare dei fotografi, compagni di strada, modelli o 'avversari': Robert Capa, Walker Evans, Robert Doisneau, Manuel Alvarez Bravo, Paul Strand... nomi altrettanto leggendari che contribuiscono, se ancora ce ne fosse bisogno, a movimentare ed arricchire questa già frenetica e traboccante biografia.
La narrazione ha un ritmo inevitabilmente serrato, motivato dalla necessità di render conto di questo numero sterminato di eventi che si susseguono, nella vita del Nostro, senza un attimo di tregua; ma non manca di rallentare, talvolta, per donare al lettore numerose riflessioni e aneddoti tutt'altro che marginali: preziose strade d'accesso alternative al 'mito Cartier-Bresson'. Il simbolico seppellimento della sua Leica, per esempio, nell'aia di una casa colonica nei Vosgi, all'indomani della disfatta della Francia, nel 1940 (e l'altrettanto mitica 'riesumazione', tre anni dopo, appena evaso dal campo di prigionia tedesco e ancora invischiato nell'illegalità); o il breve racconto di quel pomeriggio in cui il pittore cubista George Braque gli regalò un libro che cambierà non solo il suo essere fotografo, ma anche il suo essere uomo: Lo Zen e il tiro con l'arco, di Eugen Herrigel. Un libro consumato dalle infinite riletture, che stravolgerà la sua visione del mondo, divenendo il suo manuale ideale di fotografia (nonostante che di fotografia non vi si parli affatto) grazie all'insondabile potenziale di frasi del tipo: "La vera arte non ha un obiettivo, è priva di intenzione. Si liberi di se stesso, lasci da parte tutto ciò che è, tutto ciò che possiede, così che non le resti più niente, se non la tensione senza uno scopo"; pagine che gli sveleranno come la fotografia possa essere intesa come una disciplina mentale, prima ancora che tecnica; parole che chiamerà in causa quando dovrà enunciare una volta per tutte la sua concezione della fotografia, e che gli varranno l'originale appellativo di 'arciere zen': un uomo che è tutt'uno con il suo strumento, che vive il momento presente completamente assorbito dall'azione, che dimentica se stesso per farsi dimenticare dagli altri, così da diventare puro sguardo, fino a scomparire quasi, per meglio cogliere di sorpresa l'essenza di ciò che gli si para davanti (sia essa un volto, un luogo o un evento). E innumerevoli sono anche i retroscena degli scatti più celebri, che consentono di tornare a guardare con occhi nuovi tante di quelle immagini che, divenute icone, quasi non siamo più in grado di 'vedere' davvero. Insomma: 96 anni di vita racchiusi in 250 pagine dense di arte, mondo, fotografia e sguardi inimitabili. Un libro consigliatissimo. Da leggere con la leggerezza di un romanzo o, volendo, con più attenzione - quasi si trattasse di un manuale dedicato all' "arte del vedere" - per tentare di carpire almeno uno dei segreti celati dietro una delle sensibilità più acute, indipendenti ed originali del secolo passato.

Serena Effe © 02/2007

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