Testo e foto di Claudio Cerquetti | Una immagine fotografica porta con se una grandissima quantità di elementi di comunicazione: e ciò non dipende sempre dal soggetto o dalla grafica composizione ma dalle tonalità cromatiche della scena |
Fotografare costituisce un modo tutto particolare di ricordare un evento. E l'utilizzo di memorie esterne (tanto per usare il gergo computerese tanto di moda in fotografia) quali CD, Hard disk o, ultima ma sempre prima, la vecchia cara pellicola, costituisce un grande ausilio per rivivere un evento trascorso. Fra i diversi tipi di memorizzazione utilizzate dagli esseri viventi, la memoria visiva è fra quelle più efficaci, tanto che è molto più facile ricordare il volto di una persona (oppure tutte le foto che abbiamo scattato), quanto che cosa abbiamo mangiato ieri sera a cena. La sollecitazione del cervello attraverso gli stimoli visivi o il via vai dei ricordi ad opera delle immagini che li risvegliano, agisce su un'infinità di livelli differenti e con una complessità che gli scienziati sono ben lungi dal comprendere appieno. Un'immagine fotografica porta con sé una gran quantità di informazioni visive, dipendenti sia dal contenuto della composizione fotografica che dalle sensazioni cromatiche che essa trasmette. In questo contesto il bianconero ed il colore agiscono a livelli diversi ed estremamente soggettivi tanto che il pubblico è da sempre diviso fra coloro che asseriscono che la vera fotografia sia quella a colori, e quelli che invece ritengono più vera quella in bianco e nero. Modi diversi di ricordare. Rispetto alla fotografia in bianco e nero, quella a colori porta con sé una serie più completa di stimoli visivi e di carattere oggettivamente più fedele alla realtà: oltre alla forma di un oggetto, il fotogramma ne mostra anche le diverse sfumature di colore; in più la presenza di ombre velate di tonalità dominanti, contribuisce al carico emozionale complessivo della comunicazione visiva. Quando si guarda, il cervello compie un intenso lavoro di catalogazione dei diversi stimoli prodotti dall'immagine; in quel momento vengono prodotti una serie di link che, attraverso diverse chiavi, saranno utili in seguito a recuperare la rete di ricordi ad essa collegati. Questo strabiliante lavoro viene svolto in tempo reale e per ogni scena che ci poniamo dinanzi agli occhi: se l'ipnosi regressiva è una tecnica attendibile allora il cervello è veramente in grado di immagazzinare tutto ciò che vede e prova. Il motore di ricerca dei ricordi funziona sempre, parallelamente all'acquisizione di nuovi dati, ed è messo in moto da una melodia, da odore, da un'altra immagine vista in quel momento. Il lavoro che si compie nella nostra testa è veramente inimmaginabile, tanto che i metafisici credono che il cervello, da solo, non sia organicamente in grado di contenere fisicamente tutti i ricordi (sensazioni visive, tattili, olfattive, sentimenti) che verrebbero quindi archiviati nella mente, impalpabile entità posta al di sopra della testa fisica. I più terreni ipotizzano che il cervello adotti un algoritmo di compressione evolutissimo e sempre attivo, o che si accende durante la notte quando le altre funzioni e gli stimoli provenienti dall'esterno sono ridotti al minimo. In quest'epoca di GPS e telescopi spaziali, il viaggio attraverso i processi mentali (100% analogici!) resta ancora il più incerto ed avventuroso: il vero pianeta inesplorato non è a milioni di chilometri da noi ma vicinissimo; proprio ora sta leggendo queste righe… La macchina meravigliosa. Mentre scansiona l'immagine, il cervello ne elabora i diversi elementi compiendo un'analisi complessiva del suo significato. Come già accennato, nel caso della fotografia a colori, che si presta egregiamente alla documentazione completa di un evento in forma descrittiva, i componenti della scena sono in numero maggiore rispetto al bianco e nero: oltre alla forma, infatti, i componenti della scena sono caratterizzati da milioni di sfumature cromatiche. Questo processo, per contro, distoglie dal quel messaggio diretto al cuore che sembrerebbe invece meglio scaturire dalla sola analisi della forma, espressa con una fotografia in bianco e nero. In questo caso il messaggio, depurato del colore (che in questo contesto risulta uno stimolo quasi superfluo, e che appanna l'essenza della comunicazione) può arrivare al cuore in modo più fluido: l'osservatore analizza la storia del personaggio raffigurato, la drammaticità di un evento o la profondità di un paesaggio senza che l'occhio venga distratto dal colore di un poster strappato fuxia, o da un rosso pacchetto di sigarette, posto accanto a quello sguardo così espressivo. La controversia fra bianco e nero e colore resta perciò aperta, anche se l'accordo unanime sembra rispecchiarsi nella sintesi: “se il colore è la vita delle immagini, il bianconero ne è l'anima”. |
lunedì 23 aprile 2007
IL MESSAGGIO DEL COLORE
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